sabato 20 giugno 2015

I "Quaderni della Sapienza". VOLUME I


 

Il Centro Studi svolge attività editoriale attraverso la gestione della Collana "Quaderni della Sapienza", edita dalla casa editrice Irfan Edizioni.

 

Con questo strumento il Centro Studi vuole mettere a disposizione del pubblico le attività, gli studi e le ricerche realizzate attraverso i diversi Dipartimenti, nelle diverse aree culturali e scientifiche, con collaborazioni e contributi sia di soci che di personalità e studiosi esterni.

 

I Soci riceveranno gratuitamente una copia di ogni volume.

 PER CHI NON E' SOCIO IL PREZZO E' DI EURO 15

 

VOLUME PRIMO

 

​(uscita: maggio 2015)

 

Studi giuridici, politici ed economici

 

  • PAOLO BOGNI, Geopolitica e sovranità monetaria
  • LORENZO CENTINILa "Creative Class" di Richard Florida: la nuova frontiera del Capitalismo morale?
 

Studi islamici

 

  • LUIS ALBERTO VITTOR, Verso una definizione di eterodossia nell’Islam
  • SHAYKH ABBAS DAMIANO DI PALMASelezione di tradizioni autentiche dal “capitolo del monoteismo” (kitāb al-tawĥīd) dell’Uŝūl al-Kāfī
 

Studi storici

 

  • PAOLO RADA, La figura di Salman Farsi
  • VALERIA LUSSANA, L'ideologia del Ba'th (hizb al.Ba'th al-arabi al-'Isthiraki) in Siria

 

Studi filosofici, metafisici e tradizionali

 

  • GIUSEPPE AIELLO, La "Hikmat al-Ishraq" di Suhrawardi: rapporti con Zoroastro e Buddha
  • GARY M. LEGENHAUSENLa relazione tra filosofia e teologia nell’era post-moderna

 

Studi iranici

 

  • CLAUDIO MUTTI, Iran, pace e giustizia
  • FILIPPO MARIA BERTOTTI, Vedute di Città Perfette
 
 

Studi linguistici e letterari

  • WENDELL BERRY, Ignoranza (tratto da: Life is a Miracle: an Essay against Modern Superstition, 2000, trad. e note di Eduardo Ciampi)
  • VITO PARISI, Poesie: Virgo Praedicanda, Virgo fidelis, Virgo predentissima
 
Recensioni
  • ADELAIDE SEMINARA, Il Linguaggio segreto dell'Antelami, di Claudio Mutti
  • EDUARDO CIAMPI, Considera la terra, di Lord Northbourne

mercoledì 10 giugno 2015

Ali Reza Jalali – Alcune particolarità della forma di governo della Repubblica Islamica dell’Iran da Khomeini a Rohani

Segnalo la pubblicazione di un mio saggio sul costituzionalismo iraniano sulla versione on-line della prestigiosa rivista giuridica "Diritto Pubblico Comparato ed Europeo" (1/2015)

ultimo-numero


Ali Reza Jalali – Alcune particolarità della forma di governo della Repubblica Islamica dell’Iran da Khomeini a Rohani

http://www.dpce.it/a-reza-jalali-alcune-particolarita-della-forma-di-governo-della-repubblica-islamica-delliran-da-khomeini-a-rohani/

martedì 9 giugno 2015

Alireza Jalali all'IRIB: " Ridimensionamento del partito di Erdogan dovuto ai buoni risultati HDP nelle regioni curde" (AUDIO)


TEHERAN (RADIO ITALIA IRIB) - Ali Reza Jalali, presidente del Centro Studi Internazionale “Dimore della Sapienza”,  saggista e analista delle questioni politiche internazionali partecipando a un'intervista con la nostra Redazione ha esaminato le ragioni della sconfitta elettorale di Erdogan e del suo partito nelle elezioni politiche e il futuro del Paese islamico. 
      
Per ascoltare la versione integrale delle affermazioni di Jalali potete cliccare qui sotto:
 
 

lunedì 8 giugno 2015

Oltre le elezioni. Perché l’Islam politico turco funziona?


                

ANALISI A CURA DEL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI STUDI GIURIDICI, POLITICI ED ECONOMICI DEL CENTRO STUDI INTERNAZIONALE DIMORE DELLA SAPIENZA

 
 

 

Ali Reza Jalali

Il dato numerico delle elezioni politiche turche non lascia molto spazio alla fantasia: Erdogan e il suo partito islamico conservatore-moderato si vedono ridimensionati rispetto alla situazione della legislatura precedente, perdendo non solo l’opportunità di raggiungere quei famosi 330 seggi grazie ai quali essi potevano aspirare a mettere mano alla Carta costituzionale della Repubblica di Turchia, traghettando così il paese da una forma di governo parlamentare a un presidenzialismo fatto su misura per il sultano dell’AKP e la sua apparentemente insaziabile sete di potere, ma col risultato di 258 seggi, frutto di quel 40 percento di consensi riscossi nella giornata di domenica 7 giugno, Erdogan e Davutoglu devono dire addio anche al progetto, forse l’obiettivo minimo per gl’islamisti anatolici, di creare ancora un governo monocolore, visto che con quella quantità di seggi non ottengono la maggioranza assoluta del 50 percento più uno dei banchi del Parlamento monocamerale di Ankara.
 
Anche i motivi di questo ridimensionamento per Erdogan sono abbastanza facili da intuire: in primo l’uomo l’ingresso in Parlamento del partito cosiddetto filo-curdo (HDP) ha portato via moti consensi al partito di governo, inoltre vi è anche da considerare un calo fisiologico di consenso per una formazione, quella di Erdogan, che si afferma come primo partito ormai da diversi anni e che nelle precedenti consultazioni politiche aveva raggiunto, col 50 percento dei consensi, un dato tanto importante quanto raro nel panorama politico turco, abituato a governi di coalizione a all’instabilità dell’esecutivo. Tutto ciò, ribadisco, è abbastanza scontato e non c’era bisogno di particolare genio o intuito politico per arrivare ad esternare tali punti di vista. Quello che sembra sfuggire a molti però è un altro dato fondamentale. E’ pur vero che l’AKP non sfonda, ma stiamo sempre parlando di un partito che ha portato a casa una vittoria elettorale, l’ennesima della sua storia poco più che decennale, in un contesto dove tra il primo e il secondo partito, quello dei socialdemocratici del CHP, vi è un abisso (40 percento contro 24 percento).
 
L’analista acuto, a mio modesto parere, più che chiedersi il perché del ridimensionamento, secondo me anche abbastanza fisiologico, di un partito al potere da più di dieci anni, che ha raggiunto negli anni passati delle punte di consenso inconcepibili per qualsivoglia partito turco, di destra o di sinistra, dovrebbe chiedersi il perché del costante successo, nonostante alti e bassi, di un partito islamico del Vicino Oriente, a fronte di altre situazioni, come nei paesi arabi scossi dai tumulti degli ultimi anni, dove l’Islam politico ha dimostrato incapacità e molti difetti nell’azione di governo, dalla Tunisia all’Egitto. In questi paesi infatti, le formazioni ideologicamente affini all’AKP, come Ennadha e i Fratelli Musulmani, dopo un breve periodo di governo, sono stati spazzati via e ridimensionati tramite un processo elettorale (Tunisia) o attraverso un golpe militare (Egitto), che però ha avuto indubbiamente un certo consenso anche nella popolazione, stufa di vedere il proprio paese nel caos. Ciò è ancora più paradossale se si pensa al fatto che in realtà la madre di questa impostazione politica nel mondo islamico, ovvero una ideologia islamica-conservatrice, è stata proprio la Fratellanza Musulmana, nata in Egitto negli anni ’20 del XX secolo, e poi diffusasi in altre zone del Vicino Oriente.
 
In fondo, l’esperienza dell’AKP oggi, e del suo genitore, il partito islamico turco di Erbakan, dichiarato fuorilegge nonostante la sua breve esperienza di governo negli anni ’90, è basata sul modello fondato da Hassan Al-Banna, fondatore della Fratellanza Musulmana, e non viceversa. L’AKP è il figlio turco della Fratellanza Musulmana e il partito di Erdogan tutto sommato ha una storia molto più recente rispetto ai suoi omologhi nel mondo arabo. Se doveva esserci un modello con meno esperienza e meno vincente, doveva essere proprio quello erdoganiano, non quello della galassia islamica moderata e conservatrice dei paesi arabi, considerando anche il contesto laico della Turchia rispetto a quello degli Stati confessionali, parafrasando De Vergottini e il suo manuale di diritto costituzionale comparato, del mondo arabo-mediterraneo, come l’Egitto o altri ancora, dove in ogni caso l’Islam ha una valenza istituzionale importante. Insomma, era più logico pensare a un successo dell’Islam politico nei paesi arabi che non in Turchia; invece, nonostante la poca esperienza dell’Islam politico anatolico in epoca contemporanea rispetto ad altri paesi musulmani, il partito di Erdogan, tra alti e bassi, continua a essere il partito ampiamente più votato dai turchi negli ultimi anni.
 
Potrebbe essere molto difficile spiegare il perché di queste continue affermazioni elettorali – mi sembra che in termini assoluti definire sconfitto un partito che porta a casa il 40 percento dei consensi sia abbastanza azzardato – ma in questa sede, molto brevemente, proporrei una chiave di lettura di questo tipo: la Turchia è, rarissimo caso nel mondo musulmano, un paese retto da un modello istituzionale repubblicano e fortemente laico. Spesso accade che i giovani turchi che provengono da famiglie tradizionaliste, soprattutto femmine, debbano emigrare in occidente per poter continuare i propri studi all’università, e questo è veramente paradossale: esse, musulmane, trovano più libertà religiosa in contesti cristiani che non nella musulmana Turchia. In Europa, a parte qualche eccezione, possono portare il velo nelle aule universitarie, in Turchia no. Questo è solo un piccolo esempio di cosa voglia dire, oltre tutti gli aspetti che possiamo ritenere importanti, come l’economia, la giustizia sociale, la politica estera (chi scrive è ovviamente un forte critico delle mire neo-ottomane di Erdogan), per il ceto medio e per la popolazione delle province, ovvero gli ambienti più legati alla tradizione religiosa del paese, votare per una DC islamica.
 
E’ un voto di appartenenza culturale e identitaria, un voto non certo contro i valori della Turchia moderna o per l’imposizione della sharia - è noto a tutti che l’Islam turco, a parte l’emergere del problema salafita, tristemente comune all’attualità di non pochi paesi dell’area, è particolarmente moderato e tollerante rispetto ad altri paesi – è un voto per ammorbidire un sistema istituzionale, a ragione o a torto, visto come troppo stretto alla storia di quello che fu il più importante paese musulmano per diversi secoli. Il segreto di Erdogan è forse solo e semplicemente questo: essere a capo di un partito islamico moderato, in un paese dove il sentimento di adesione ai valori di una forma islamica compatibile con taluni aspetti del pluralismo e della democrazia è forte, e paradossalmente è stato rafforzato negli ultimi decenni da un sistema istituzionale troppo in antitesi con la forma mentis di una ampia maggioranza di turchi. Aver stretto eccessivamente, dalla nascita della Turchia contemporanea fino agli ultimi anni, le redini del laicismo, ha provocato nella popolazione una reazione concretizzatasi negli ultimi dieci anni con una egemonia dell’AKP che, nonostante la battuta d’arresto di domenica scorsa, sembra ancora lontana dalla via del tramonto; in fondo, proprio il diverso contesto istituzionale del mondo arabo, molto meno laico della Turchia, è una ulteriore prova dell’assenza da parte di quelle popolazioni di un bisogno a una maggiore islamizzazione della società, dove, tutto sommato, lo Stato, guidato da elite militari secolarizzate, non impone una visione riconducibile al fondamentalismo laico, come invece è avvenuto in passato in Turchia, portando in ultima istanza al fallimento di quelle istanze islamiste ritenute in ogni caso non all’ordine del giorno da parte dei cittadini arabi, necessità invece più impellente nel contesto ultra-laico anatolico.