domenica 8 maggio 2016

Moro, Fanfani e la “terza posizione” italiana: il conflitto arabo-israeliano del '67



Ali Reza Jalali

Il periodo della “Guerra fredda” rappresenta senza ombra di dubbio un campo di analisi privilegiato per gli studiosi della politica internazionale, per via di una serie di personaggi politici e di fatti accaduti che attraggono l’attenzione dello studioso acuto. Per quanto riguarda l’Italia quella epoca vedeva un ruolo particolare per il “Bel Paese”, ovvero una posizione da un lato privilegiata, cioè quella di “terra di mezzo” tra il blocco occidentale (al quale chiaramente l’Italia aderiva) e il blocco orientale, e d’altro canto un ruolo problematico, quello di dover gestire un precario equilibrio e col rischio di fare la fine del “vaso di terracotta costretto a viaggiare tra vasi di ferro”, ovvero gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
 
"Aldo Moro, l'Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi" è un libro di Federico Imperato pubblicato da Besa nella collana Entropie nel 2013 
 

Inoltre, un altro ruolo da “terra di mezzo” ricoperto dall’Italia in quell’epoca era la spinosa questione del bacino del Mediterraneo e del conflitto arabo-israeliano, che vedeva l’Italia impegnata in una angusta operazione di oscillazione tra istanze filo-palestinesi, erede della storica missione mediterranea italiana, e fedeltà all’alleato americano, rectius, all’alleato israeliano. Nell’alveo di tale ruolo italiano, si inserisce perfettamente l’impegno del governo di Aldo Moro, in particolare quello che va dalla prima metà del 1966 alla prima metà del 1968 (terzo governo Moro).

A capo della diplomazia di quell’esecutivo di centrosinistra si trovava la figura di Amintore Fanfani, uno dei leader di spicco della Democrazia Cristiana, raffinato studioso, nonché artista. Fanfani era entrato in politica dopo la caduta del regime mussoliniano, a guerra terminata, ma la sua relazione col fascismo fu tutt’altro che negativa. Infatti Fanfani, di formazione cattolica, insegnò per anni in scuole, centri di ricerca e università durante il governo di Mussolini, e il suo nome lo si ritrova anche tra i firmatari del Manifesto in sostegno delle “Leggi razziali” nel 1938. Non mancarono poi articoli scritti sulla rivista “La Difesa della Razza” e aperte simpatie, anche con dotte teorizzazioni, in difesa del modello economico corporativo del fascismo, giudicato come un sistema ideale e alternativo sia al liberismo occidentale che al socialismo orientale.
 
Fanfani
 
 

Insomma, non certo un antifascista, tanto è vero che con la caduta del fascismo a Roma, invece di impegnarsi in Italia nella guerra partigiana, preferì rifugiarsi in Svizzera dove fece da insegnante per le famiglie italiane sfollate. Al termine delle ostilità ebbe un ruolo centrale nell’Assemblea costituente, mettendo mano all’art. 1 della Costituzione repubblicana, che definisce l’Italia come una repubblica democratica fondata sul lavoro (Fanfani era un economista).

Ma torniamo al terzo governo Moro e al ruolo di Fanfani nel periodo 1966-1968, importante per comprendere il gioco di equilibrio italiano tra le grandi potenze nella “Guerra fredda” e soprattutto alla luce della crisi mediorientale, che vedeva contrapporsi l’Occidente in sostegno di Israele e l’URSS in sostegno dei Paesi arabi. Proprio nel periodo centrale del terzo governo Moro infatti scoppiò la “Guerra dei sei giorni” (1967), che vide l’attacco israeliano contro l’Egitto, come risposta alla chiusura al transito israeliano da parte egiziana nei mari internazionali a sud dello stato ebraico. Interessanti in tal senso sono le informazioni, i dati e le analisi che vengono messi a disposizione grazie al libro del ricercatore Federico Imperato intitolato “Aldo Moro, l’Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi” (BESA Editrice, 2013, pp. 69-80).

Dalle pagine del libro dello studioso pugliese emerge una tendenza ambivalente nelle istituzioni italiane di quel periodo, da un atlantismo ortodosso a forme più equilibrate, una vera e propria tendenza che potremmo definire “terza-posizionista” o “terza-fazionista”, all’interno del duopolio USA-URSS, con una seria ripercussione sulla politica mediterranea del terzo governo Moro. Infatti, sia prima dello scoppio della guerra del 1967, sia durante il conflitto tra Paesi arabi e Israele, l’Italia cercherà attraverso la fazione filoaraba guidata proprio da Fanfani di ritagliarsi un ruolo particolare all’interno del campo occidentale, ovvero quello di mediatore tra le due parti in conflitto, confidando nel ruolo moderatore delle Nazioni Unite.
 
 
Fanfani incontra il leader egiziano Nasser
 

Non è un caso che l’Italia giudicò negativamente l’idea espressa dai paesi più filo-israeliani del campo occidentale, soprattutto USA e Gran Bretagna, di allestire una sorta di coalizione dei volenterosi delle potenze marittime occidentali che dovevano forzare il blocco navale egiziano ai danni di Israele. Il governo Moro e la diplomazia nostrana, sotto la supervisione vigile di Fanfani, preferiva un dialogo costruttivo tra arabi e israeliani, per evitare fino all’ultimo lo scoppio delle ostilità. Fanfani e Moro, proprio per questo atteggiamento moderato, che spesso sfociava in un vero e proprio filo-arabismo, in quanto la dirigenza italiana non valutava negativamente solo il conflitto tra Israele e Paesi arabi, ma aveva dichiarato più volte che bisognava trovare una soluzione politica alla questione palestinese, erano spesso accusati di tradimento dei patti transoceanici e di voler in qualche modo traghettare l’Italia verso istanze simili a quelle dei Paesi non allineati; a prescindere dalla veridicità di tali accuse, resta il fatto che durante il terzo governo Moro la parte filo-israeliana della politica italiana, rappresentata da persone legate ai repubblicani, ai socialdemocratici e anche ad alcune tendenze della sinistra (ad esempio Nenni), mise in campo il suo potenziale per rassicurare l’alleato americano (e anche gli israeliani) della fedeltà occidentale e atlantica dell’Italia.

Emblematico in questo senso il viaggio negli USA del Presidente Saragat, il quale volle tranquillizzare personalmente Washington delle intenzioni italiane per quanto riguardava la crisi mediorientale e la politica estera italiana. Gli sforzi diplomatici della componente filo-palestinese del governo italiano (Moro-Fanfani) però non riuscirono a fermare le ostilità e gli israeliani, col fondamentale sostegno occidentale, sbaragliarono le difese arabe infliggendo nel ’67 una dura lezione alle principali potenze anti-imperialiste dell’area, soprattutto l’Egitto di Nasser. Circa due anni dopo il suo insediamento, il terzo governo Moro, ufficialmente “equidistante” nella guerra del 1967, caso raro nel campo occidentale, andò in contro a un ridimensionamento elettorale, nel maggio del 1968, segnando forse anche la sconfitta di quella tendenza mediterranea e filo-araba che ciclicamente si presente nelle istituzioni italiane, e che altrettanto ciclicamente deve scontrarsi col muro della componente filo-occidentale della politica del “Bel Paese”, con una diplomazia che la geografia e la geopolitica impone all’Italia, ovvero quello di mediatore tra due mondi, l’Occidente e l’Oriente, sempre al limite tra lo scontro aperto e una pace armata facilmente compromettibile.     

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