Ali Reza Jalali
Il periodo della “Guerra fredda”
rappresenta senza ombra di dubbio un campo di analisi privilegiato per gli
studiosi della politica internazionale, per via di una serie di personaggi
politici e di fatti accaduti che attraggono l’attenzione dello studioso acuto.
Per quanto riguarda l’Italia quella epoca vedeva un ruolo particolare per il “Bel
Paese”, ovvero una posizione da un lato privilegiata, cioè quella di “terra di
mezzo” tra il blocco occidentale (al quale chiaramente l’Italia aderiva) e il
blocco orientale, e d’altro canto un ruolo problematico, quello di dover
gestire un precario equilibrio e col rischio di fare la fine del “vaso di
terracotta costretto a viaggiare tra vasi di ferro”, ovvero gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica.
"Aldo Moro, l'Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi" è un libro di Federico Imperato pubblicato da Besa nella collana Entropie nel 2013 |
Inoltre, un altro ruolo da “terra
di mezzo” ricoperto dall’Italia in quell’epoca era la spinosa questione del
bacino del Mediterraneo e del conflitto arabo-israeliano, che vedeva l’Italia
impegnata in una angusta operazione di oscillazione tra istanze
filo-palestinesi, erede della storica missione mediterranea italiana, e fedeltà
all’alleato americano, rectius, all’alleato israeliano. Nell’alveo di
tale ruolo italiano, si inserisce perfettamente l’impegno del governo di Aldo
Moro, in particolare quello che va dalla prima metà del 1966 alla prima metà
del 1968 (terzo governo Moro).
A capo della diplomazia di quell’esecutivo
di centrosinistra si trovava la figura di Amintore Fanfani, uno dei leader di
spicco della Democrazia Cristiana, raffinato studioso, nonché artista. Fanfani
era entrato in politica dopo la caduta del regime mussoliniano, a guerra
terminata, ma la sua relazione col fascismo fu tutt’altro che negativa. Infatti
Fanfani, di formazione cattolica, insegnò per anni in scuole, centri di ricerca
e università durante il governo di Mussolini, e il suo nome lo si ritrova anche
tra i firmatari del Manifesto in sostegno delle “Leggi razziali” nel 1938. Non
mancarono poi articoli scritti sulla rivista “La Difesa della Razza” e aperte
simpatie, anche con dotte teorizzazioni, in difesa del modello economico corporativo
del fascismo, giudicato come un sistema ideale e alternativo sia al liberismo
occidentale che al socialismo orientale.
Fanfani |
Insomma, non certo un
antifascista, tanto è vero che con la caduta del fascismo a Roma, invece di
impegnarsi in Italia nella guerra partigiana, preferì rifugiarsi in Svizzera
dove fece da insegnante per le famiglie italiane sfollate. Al termine delle
ostilità ebbe un ruolo centrale nell’Assemblea costituente, mettendo mano all’art.
1 della Costituzione repubblicana, che definisce l’Italia come una repubblica
democratica fondata sul lavoro (Fanfani era un economista).
Ma torniamo al terzo governo Moro
e al ruolo di Fanfani nel periodo 1966-1968, importante per comprendere il
gioco di equilibrio italiano tra le grandi potenze nella “Guerra fredda” e
soprattutto alla luce della crisi mediorientale, che vedeva contrapporsi l’Occidente
in sostegno di Israele e l’URSS in sostegno dei Paesi arabi. Proprio nel
periodo centrale del terzo governo Moro infatti scoppiò la “Guerra dei sei
giorni” (1967), che vide l’attacco israeliano contro l’Egitto, come risposta
alla chiusura al transito israeliano da parte egiziana nei mari internazionali
a sud dello stato ebraico. Interessanti in tal senso sono le informazioni, i
dati e le analisi che vengono messi a disposizione grazie al libro del
ricercatore Federico Imperato intitolato “Aldo Moro, l’Italia e la diplomazia
multilaterale. Momenti e problemi” (BESA Editrice, 2013, pp. 69-80).
Dalle pagine del libro dello
studioso pugliese emerge una tendenza ambivalente nelle istituzioni italiane di
quel periodo, da un atlantismo ortodosso a forme più equilibrate, una vera e
propria tendenza che potremmo definire “terza-posizionista” o “terza-fazionista”,
all’interno del duopolio USA-URSS, con una seria ripercussione sulla politica
mediterranea del terzo governo Moro. Infatti, sia prima dello scoppio della
guerra del 1967, sia durante il conflitto tra Paesi arabi e Israele, l’Italia
cercherà attraverso la fazione filoaraba guidata proprio da Fanfani di
ritagliarsi un ruolo particolare all’interno del campo occidentale, ovvero
quello di mediatore tra le due parti in conflitto, confidando nel ruolo
moderatore delle Nazioni Unite.
Fanfani incontra il leader egiziano Nasser |
Non è un caso che l’Italia
giudicò negativamente l’idea espressa dai paesi più filo-israeliani del campo
occidentale, soprattutto USA e Gran Bretagna, di allestire una sorta di
coalizione dei volenterosi delle potenze marittime occidentali che dovevano
forzare il blocco navale egiziano ai danni di Israele. Il governo Moro e la
diplomazia nostrana, sotto la supervisione vigile di Fanfani, preferiva un
dialogo costruttivo tra arabi e israeliani, per evitare fino all’ultimo lo
scoppio delle ostilità. Fanfani e Moro, proprio per questo atteggiamento
moderato, che spesso sfociava in un vero e proprio filo-arabismo, in quanto la
dirigenza italiana non valutava negativamente solo il conflitto tra Israele e
Paesi arabi, ma aveva dichiarato più volte che bisognava trovare una soluzione
politica alla questione palestinese, erano spesso accusati di tradimento dei
patti transoceanici e di voler in qualche modo traghettare l’Italia verso
istanze simili a quelle dei Paesi non allineati; a prescindere dalla veridicità
di tali accuse, resta il fatto che durante il terzo governo Moro la parte
filo-israeliana della politica italiana, rappresentata da persone legate ai
repubblicani, ai socialdemocratici e anche ad alcune tendenze della sinistra (ad esempio Nenni), mise in campo il suo potenziale per rassicurare l’alleato
americano (e anche gli israeliani) della fedeltà occidentale e atlantica dell’Italia.
Emblematico in questo senso il
viaggio negli USA del Presidente Saragat, il quale volle tranquillizzare
personalmente Washington delle intenzioni italiane per quanto riguardava la
crisi mediorientale e la politica estera italiana. Gli sforzi diplomatici della
componente filo-palestinese del governo italiano (Moro-Fanfani) però non
riuscirono a fermare le ostilità e gli israeliani, col fondamentale sostegno
occidentale, sbaragliarono le difese arabe infliggendo nel ’67 una dura lezione
alle principali potenze anti-imperialiste dell’area, soprattutto l’Egitto di
Nasser. Circa due anni dopo il suo insediamento, il terzo governo Moro,
ufficialmente “equidistante” nella guerra del 1967, caso raro nel campo
occidentale, andò in contro a un ridimensionamento elettorale, nel maggio del
1968, segnando forse anche la sconfitta di quella tendenza mediterranea e
filo-araba che ciclicamente si presente nelle istituzioni italiane, e che
altrettanto ciclicamente deve scontrarsi col muro della componente filo-occidentale
della politica del “Bel Paese”, con una diplomazia che la geografia e la
geopolitica impone all’Italia, ovvero quello di mediatore tra due mondi, l’Occidente
e l’Oriente, sempre al limite tra lo scontro aperto e una pace armata
facilmente compromettibile.
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